Teatro

Il Kant di Renato Carpentieri, un cielo stellato dentro casa

Il Kant di Renato Carpentieri, un cielo stellato dentro casa

"Teatro cerca casa" ospita Renato Carpentieri, che con il testo di Amedeo Messina accende una luce intensa sulla storia di Martin Lampe, il servo di Kant, attraverso il rapporto quotidiano con il filosofo di Königsberg.

È la seconda volta che Teatro cerca casa, la rassegna creata dal drammaturgo Manlio Santanelli ed organizzata da Livia Coletta ed Ileana Bonadies, prende parte al Festival delle Idee Politiche (incentrato quest'anno sul tema “I diritti & il Diritto”), e lo fa ospitando Il cielo stellato sopra di me, un lavoro di Amedeo Messina ispirato al filosofo Immanuel Kant, diretto ed interpretato da Renato Carpentieri. Per una fortunata circostanza, dopo la data di Palazzo Migliarisi al Rione Terra di Pozzuoli lo spettacolo è stato replicato anche a Napoli, in casa Santanelli, dove perciò si è ripetuto uno di quei piccoli miracoli che hanno accompagnato una rassegna itinerante che sta ampliando le pareti delle case che la ospitano, così come i significati di un modo di fare teatro che sta verificando con il crescente successo la felice unione fra l’ambiente intimo del privato e la sua attitudine ad accogliere la circolazione di pensieri.

Martin Lampe fu il servo di lungo corso di Kant, ed in quanto tale poté godere del punto di vista di osservatore privilegiato delle sue cose domestiche e meno conosciute; nella elaborazione proposta dallo spettacolo (scritto undici anni fa per l’occasione del bicentenario della morte del celebre esponente dell'illuminismo tedesco), questa figura di accompagnamento comprimario dei passi e delle eccentricità del filosofo di Königsberg assume il sembiante di una figura assonante alla tradizione partenopea, quasi un lazzaro che fa della scaltrezza la sua arma prevalente nella vita, asseconda e prova finanche pietà, scantona ma resta al suo posto, e se la resa della sovrapposizione delle lingue fra brandeburghese e napoletano già aiuta allo scopo, Carpentieri aggiunge la sua sapienza e l'innata capacità sia di mantenere un elevatissimo livello di tensione del personaggio, sia di poter frequentemente abbattere qualsivoglia parete, dallo sguardo che sembra sempre puntare sulla costruzione di una complicità autentica con lo spettatore, alle numerosissime sollecitazioni ed interazioni che gestisce con apparente abbandono alla confidenza ("potete rispondere, state in scena!"), fino allo sdoppiamento agito fra i due personaggi, che sono dapprima chiaramente distinguibili, ma la cui connotazione scenica via via assume sfumature sempre più ambigue; ed è soprattutto in questi momenti, che il teatro fa il suo miracolo fra le pareti di una casa, nel momento in cui una scena diventa parte integrante dello scrittorio, del calice di vino e della libreria in cui si inscrive, quando non ci sarebbe più nemmeno bisogno dei segni di caratterizzazione (come le mani ritratte per l'artrosi) che avevano aiutato a distinguere fino ad allora il padrone dal servo.

Si susseguono il necessario compendio di celebri aneddoti e leggende su Kant, che trasmesso in questo modo confidenziale fa emergere gli aspetti più sconcertanti rispetto alle aspettative del popolo sugli uomini di gran fama, oltre alle malcelate angustie dentro le quali si muoveva colui che discettava di geografia senza essersi mai mosso dalla sua città, ma anche alcuni fondamenti filosofici di rilievo come le teorie cosmologiche sulla nebulosa originaria, perle di antica saggezza come la storia di Candaule, Gige e la regina di Lidia, ed infine nella parte forse più intensa, le fiaccole accese sull’altare dei Lumi e della fede nelle possibilità dell’uomo di diventare maggiorenne ("A prezzo di qualche caduta, tutti alla fine imparerebbero a camminare").

Ma avendo creato un'atmosfera in cui le due compresenze interagiscono quasi dall'interno, il testo giustamente ci tiene, e di certo riesce, a lasciare ogni cosa avvolta in un manto che comincia a cedere alla melanconia del decadimento fisico: Kant ormai è quasi ottantenne, percepisce la sua incipiente difficoltà a mantenere fermo quel leggendario sguardo sulla Ragione ("Non sono più i pioppi che mi impediscono di vedere, ma una nebbia che si infittisce sul pensiero") ed i due, anche grazie all'intenso continuum con cui procede una recitazione saldamente espressiva, sembrano toccarsi inevitabilmente in questi ultimi passi, ricordandoci quanto perfino Heinrich Heine (in Storia della religione e della filosofia in Germania) pensava della significativa influenza che partendo dal quotidiano, ebbe Lampe sulla filosofia di Kant, finché il volto finale di Carpentieri, ormai solo l’uomo di Königsberg, summa di ogni particella razionale ed ambigua trascorsa, è pronto a pronunciare quelle uniche tre parole del momento in cui capì che stava per morire, quando infine mormorò Es ist gut: Va bene.